Il 9 luglio è stato segnalato dal WWF come ‘Fish dependence day’ per l’Europa. Significa che gli europei hanno consumato una quantità di pesce pari a tutto quello che viene prodotto in un anno nel vecchio continente e questa data segna simbolicamente l’inizio delle importazioni dall’estero. Le cinque specie in cima alla classifica dei consumi in Europa – tonno, merluzzo nordico, salmone, merluzzo d’Alaska e gamberi – sono prevalentemente importate da Paesi non-UE: primo fra tutti il salmone fresco dalla Norvegia, poi tonno in conserva dall’Ecuador, seppie e calamari congelati, provenienti in gran parte da India e Cina. Se consideriamo in particolare l’Italia, le cose vanno ancora peggio, perché i nostri mari sono sovrasfruttati, le catture sono in calo da anni e la produzione nazionale – somma di pescato e allevato – si è “esaurita” il 6 aprile.

Ogni italiano consuma circa 29 kg di prodotti ittici l’anno e le quantità oscillano insieme al resto dei consumi alimentari. Secondo i dati dell’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare), nel 2018 il consumo è diminuito del 2% circa: i prodotti freschi o decongelati sono calati del 2,7%, il congelato sfuso – tipologia poco diffusa – è sceso quasi del 9%, mentre i surgelati e i congelati confezionati sono cresciuti di 2,6 punti percentuali. L’aumento del segmento da freezer riguarda in particolare i prodotti pronti per il consumo (come i bastoncini), che peraltro crescono anche nel segmento dei freschi e decongelati. Si nota quindi, anche in questo settore di mercato, un andamento in atto da diversi anni: i generi pronti da mangiare, a elevato contenuto di servizio, nonostante i prezzi più alti, vendono bene. I prodotti ittici freschi o decongelati, disponibili sia al banco servito che self-service, e destinati al consumo diretto, rappresentano il 48% del volume di acquisti; le conserve (scatolame) il 24% e i confezionati da freezer il 18%.

Abbiamo chiesto un parere su questo andamento a Valentina Tepedino, direttrice di Eurofishmarket: “I consumatori a volte acquistano prodotti decongelati pensando che siano freschi – fa notare Tepedino – perché li trovano sul banco accanto al pesce fresco e le indicazioni sulle etichette spesso passano inosservate o risultano incomprensibili. Quando acquistiamo pesce decongelato, non possiamo sapere da quanto tempo sia stato scongelato. La cosa migliore è acquistare pesce fresco oppure, se non siamo sicuri di prepararlo in giornata, congelato o surgelato in modo da scongelarlo in modo corretto prima di cucinarlo.”

I più venduti del segmento freschi e decongelati sono le orate, seguite dal salmone (il pesce per cui spendiamo di più) e dalle cozze. Per quanto riguarda i prodotti trasformati (surgelati, congelati e conserve) la parte del leone la gioca il tonno in scatola, con il 40% del volume, seguito da merluzzi e naselli surgelati preparati (i classici bastoncini di pesce). Il tonno in scatola non conosce crisi: secondo i dati Ancitil 94% degli italiani lo consuma e quattro su 10 lo mangiano almeno una volta a settimana.

salmone tranci piattoNella categoria del pesce fresco, uno dei prodotti preferiti dagli italiani è il salmone

La produzione di pesci, crostacei e molluschi in Italia è pari a circa 350 mila tonnellate all’anno (secondo i dati Eumofa, per il 2016, 193 mila tonnellate di pescato e 157 mila di allevato), mentre nel 2018 ne sono stati importati 1,35 milioni di tonnellate. È chiaro quindi che la maggior parte dei prodotti che troviamo sul mercato proviene dall’estero.

L’import di pesce è in aumento da diversi anni come avviene nel resto d’Europa. In cima alla classifica troviamo il tonno in scatola, con 100 mila tonnellate, provenienti per oltre la metà dalla Spagna. È interessante notare che il nostro Paese importa anche 37 mila tonnellate di tranci di tonno, destinati al mercato del “fresco” e circa 30 mila tonnellate di tonno congelato destinato alla produzione di conserve (in buona parte sono esportate).

“Il tonno rimane un prodotto molto gradito – fa notare Tepedino – e acquistato al banco viene percepito come fresco. In realtà quello che troviamo in pescheria e nei supermercati è tonno a pinne gialle, una specie che non vive nel Mediterraneo, importata in grandi quantità come “filoni” congelati. Pesci simili, che si possono pescare nei nostri mari e che sarebbe opportuno valorizzare, sono la palamita e altre specie di tonnetti e i tombarelli.”

Nella classifica dell’import, il tonno in conserva è seguito da calamari e calamaretti congelati, provenienti principalmente da Spagna e Cina. Questi sono destinati, oltre che al consumo domestico, alle fritture di pesce che troviamo in tutti i ristoranti e quasi sempre, sul menù, riportano l’asterisco che segnala appunto l’uso di pesce congelato.

Raw octopus polpo pesceIl polpo congelato è una delle voci più importanti tra le importazioni ittiche nel nostro paese

Subito dopo, troviamo i polpi congelati, e i salmoni freschi. L’import di salmone, grazie alla sua popolarità sempre crescente, nell’ultimo anno è aumentato del 17%. Seguono gamberi e gamberetti congelati, che importiamo da Argentina e Spagna, mentre le mazzancolle provengono prevalentemente dall’Ecuador. Vengono poi due pesci “con la coda” molto richiesti al banco del fresco: orate, che importiamo soprattutto dalla Grecia e spigole.

“Il fatto di importare prodotti ittici, come i calamaretti, dalla Spagna – dice Tepedino – non garantisce che siano stati pescati in questo Paese, perché la Spagna ne importa grandi quantità per poi lavorarli ed esportarli nuovamente. Orate e spigole allevate all’estero sono più convenienti di quelle nazionali, sia per differenze climatiche che rendono la crescita più rapida, sia perché il costo del lavoro e le spese dovute alla burocrazia sono inferiori. Gli allevamenti in Grecia o in altri Paesi dell’Ue devono comunque seguire la stessa normativa in vigore in Italia, non si devono quindi considerare prodotti di qualità inferiore.”

Pare incredibile ma, poco oltre, in questa classifica, si trovano le preparazioni di surimi, di cui importiamo 13,5 mila tonnellate (con una crescita del 25% rispetto all’anno precedente). Il surimi, prodotto della tradizione orientale, è una “pasta di pesce”, ottenuta con pesce tritato che può appartenere a diverse specie, e nei casi più pregiati è merluzzo d’Alaska. Le “preparazioni di surimi”, da qualcuno definite “i würstel del mare”, sono di solito cilindretti con l’interno bianco e l’esterno arancione, ma possono avere anche forma di gamberetti o altro. Sono composte per meno della metà di pesce tritato, miscelato con acqua, amido, grassi, albume d’uovo, aromi, stabilizzanti, esaltatori di sapidità e sale. Il classico colore arancione è dato da coloranti naturali, come la paprica, e i diversi sapori dipendono dagli aromi utilizzati. L’utilizzo di pesce tritato e l’aggiunta di aromi permette di impiegare pesce di scarsa qualità e avanzi di altre lavorazioni.

“La normativa non fissa una quota minima di pesce nelle preparazioni di surimi – fa notare Tepedino – né stabilisce quali specie si debbano utilizzare. Il risultato è che questi prodotti industriali sono preparati spesso con pesce poco pregiato, al quale vengono aggiunti anche  altri ingredienti utili a fare vendere il prodotto, ma privi di “sostanza”. Si trovano congelati in tutti i supermercati, ma i destinatari più importanti sono i ristoratori. I bar che preparano l’insalata di mare, come pure le pizzerie e i reparti gastronomia dei supermercati: tutti utilizzano preparazioni a base di surimi”.

 

 

FONTE: https://ilfattoalimentare.it/mercato-pesce-italia.html