Uno studio di Symbola conferma il primato del nostro sistema di arredo e decorazioni.
Il prossimo passo? Investire in sostenibilità De Lucchi: «All’estero imparano da noi»
Innalzare la qualità della vita attraverso l’uso di oggetti adatti allo scopo per il quale sono progettati e, nel contempo, riceverne gratificazioni estetiche sembra oggi un concetto obsoleto, ma sicuramente non lo era cent’anni fa quando il Bauhaus iniziò ad applicare tali principi alla produzione industriale. Ci ha ricordato l’importanza delle idee scaturite nella prima metà del secolo scorso nell’ambito del design internazionale una mostra significativa chiusasi nel giugno scorso al MoMA di New York, «The Value of Good Design». Non si tratta di un titolo come altri coniati per esposizioni di sicura attrattiva, corrisponde in realtà al nome di un vero movimento di idee, il «Good Design», scaturito dalla mente di personalità come Charles and Ray Eames, László Moholy-Nagy o Hans Wegner, tutte volte a conferire agli arredi i caratteri della funzionalità, conciliando bellezza e produzione. Ma oggi tutto questo non basta più. L’oggetto frutto della progettazione più avveduta deve rispondere a principi di sostenibilità, cioè proiettare il senso della sua esistenza in un futuro carico d’incognite, tenendo conto del risparmio delle risorse, dell’impatto ambientale che eserciterà negli anni a venire e delle sue potenzialità a lungo termine, senza più far leva sull’appeal dell’immediatezza, dell’hic et nunc. La digitalizzazione ha inoltre imposto le sue regole e l’industria 4.0 richiede a monte, fin dalle fasi iniziali del progetto, di tener conto dell’automazione sempre più sofisticata dei cicli produttivi. Dunque, il design deve essere innovativo e sempre più attento ai processi tecnologici, e oggi soprattutto green.
Fiori all’occhiello
A queste caratteristiche risponde il «progetto» italiano che presenta anche altri atout vincenti, poiché si avvale dell’incisiva accoppiata Design/Italian Style. L’architetto Michele De Lucchi, uno dei nostri fiori all’occhiello, non ha dubbi: «Il design italiano è legato allo stile di vita del nostro Paese che all’estero è considerato di altissimo livello e assai invidiabile. L’Italia si è ritagliata uno spazio speciale in ambito internazionale, è considerata cioè un luogo dove si vive bene: si mangia bene, ci si veste bene, si abita bene. Sono le note 3F: Food, Fashion, Furniture. Benché si consideri in genere che il design italiano sia legato molto al mondo degli interni e dell’arredamento, non dimentichiamo che anche l’automobile (Ferrari, per fare un esempio, ndr) e la bicicletta siano in testa alla classifica dei prodotti per i quali siamo considerati i più bravi». Qualche esempio riguardo alla sua esperienza personale?«Sono alcuni anni che lavoro in Georgia. Ora, disegnando alberghi per quel Paese, mi sono reso conto di quanto sia importante proporre e applicare il format italiano. Da noi i Georgiani imparano ad arredare, nonché a mangiare e a bere, pur avendo anche loro ottimi vini, come quelli di Akhaltsikhe».In che cosa risiede dunque il valore del nostro prodotto? «Il potenziale delle nostre aziende è basato sulla capacità di comunicare la qualità del lifestyle italiano». In Italia, il Paese che è produttore leader per numero di imprese legate al design, il Made in Italy e il design vanno di pari passo poiché entrambi localizzati nelle regioni e nei territori che trainano l’economia italiana. «Il design è un’infrastruttura del Made in Italy», afferma a questo proposito Domenico Sturabotti, direttore di Symbola, fondazione nata una quindicina di anni fa con lo scopo di promuovere e aggregare le «qualità italiane» nei vari settori produttivi. «Green economy, cultura e coesione sociale sono i nostri tre indicatori fondamentali. A un’analisi specifica riguardo alle aziende manifatturiere che hanno investito nel design, è emerso che sono loro quelle che hanno assunto di più, hanno incrementato il fatturato di più e hanno esportato di più: un driver molto competitivo».
I quaderni di Symbola
Quest’anno dai quaderni Symbola. Design, frutto di studi promossi in collaborazione con Deloitte, emergono dati significativi per quanto riguarda il 2017: per la prima volta il numero delle imprese di design supera quota 30.000, 31.896 per l’esattezza, un primato nel panorama comunitario. Inoltre, il fatturato oltrepassa i 3,8 miliardi di euro, ponendosi a livello europeo in terza posizione dopo Regno Unito e Germania. Le imprese italiane hanno contribuito, nel ‘17, a realizzare il 15,6 % di quanto si è fatturato nell’Unione Europea. Un risultato in crescita dello 0,9 % rispetto all’anno prima. Inoltre, le imprese che investono in tecnologie green, puntando sul design, dichiarano un aumento di occupazione, fatturato ed esportazioni maggiore rispetto a quelle che non sono green oriented. Dunque i numeri parlano chiaro. L’Italia è apprezzata nel mondo per il suo stile e incide in misura sempre più significativa sulla bilancia produttiva ed economica. Non a caso, occupa il settimo posto a livello globale in termini di reputazione. In particolare, ci sono organismi come ADI (Associazione per il Disegno Industriale) protagonisti dello sviluppo del disegno industriale come fenomeno culturale. ADI, grazie alla fitta rete di delegazioni regionali e interregionali, svolge infatti la duplice funzione di diffondere la cultura del design sul territorio e di rappresentare il nostro design nel mondo. Inoltre, è promotrice del Premio Compasso d’Oro, che nell’aprile 2020 diventerà Museo aprendo al pubblico a Milano, la collezione permanente delle opere vincitrici del Premio dal 1954, anno in cui fu fondato da Gio Ponti, in poi. Simona Finessi, tesoriera e communication manager ADI, precisa a proposito della «reputazione» del design italiano: «In Cina siamo interlocutori ufficiali per il design e là porteremo il Museo del Compasso d’Oro nel 2020, ma guardiamo anche a Taiwan e al Giappone. Inoltre, quest’anno per la prima volta, abbiamo curato l’Italian Design Day in 100 tra ambasciate, consolati e istituti di cultura sparsi per il mondo». Qual è dunque l’immagine percepita del design italiano all’estero? «Siamo considerati un Paese ad alto tasso creativo. Negli USA l’Italian Design è sinonimo di qualità e quando c’è da realizzare un design building chiamano un italiano». Il maggior nostro pregio? «La capacità di raccontare e di emozionare attraverso il racconto che c’è dietro il design. La cultura del bello, in cui siamo nati e cresciuti, ci rende diversi».
Lo sguardo all’estero
Il Salone del Mobile di Milano — nell’ultima edizione 2.418 gli espositori e 386.236 le presenze (+12% rispetto al ‘18) — è la vetrina del settore più accreditata al mondo. In Cina è ormai imminente il terzo appuntamento del Salone del Mobile. Milano Shanghai (20-22 novembre) al Sec–Shanghai Exhibition Center di Shanghai: 128 gli espositori previsti, di cui 80 nella categoria Design, e 3 i designer italiani di chiara fama coinvolti negli incontri delle Master Classes: Rodolfo Dordoni, Patricia Urquiola, Ferruccio Laviani, che dialogheranno con gli architetti cinesi Li Hu, Zhao Yang, Chen Fei Bo. Sottolinea, a proposito della fiera di Shanghai, Claudio Feltrin, presidente di Assarredo, e a sua volta imprenditore: «L’Italian Design è un valore che va difeso e che si autodifende grazie all’autorevolezza maturata negli anni. Non solo grazie alla qualità intrinseca del prodotto, ma anche per quell’apertura mentale che ha permesso a molti designer stranieri di esprimere le loro idee nelle nostre aziende, trasformandole in un incrocio di culture diverse. Questo è un aspetto molto apprezzato in una situazione di mercato globale. E tanto più a Shanghai, una realtà internazionale estremamente aperta».