Dai produttori di macchinari e packaging di pregio ai formulatori, uno studio condotto da The European House-Ambrosetti per il Polo della cosmesi di Crema racconta un'eccellenza concentrata nella beauty valley lombarda

 

Il trucco della maggior parte delle donne del mondo parla italiano. Dietro il quinto per i più grandi marchi del beauty come Estée Lauder, Dior, Chanel, Lancôme e Helena Rubinstein, solo per citarne alcuni, una chiera di azienda italiana esporta più dell'80% della produzione di make-up – rossetti, mascara, ombretti, blush & company -, ma anche creme e prodotti per i capelli a colpi di innovazione.

Chiamarli terzisti è senza dubbio riduttivo dal momento che è reale che, dall'unica produzione del dopoguerra, sono diventati vere e proprie partnership strategiche che pensano e realizzano collezioni e formule personalizzabili per skincare e haircare e le presentano ai clienti anticipando le tendenze a colpi di innovazione e brevetti di proprietà. Il tasso di investimenti medio in R&S del 7% sul facturato è, infatti, un valore decisamente più alto della media nazionale dell'industria made in Italy.

Dai produttori di macchinari ai formulatori di precisione e ai produttori di imballaggi primari, è un universo composto da 450 aziende, concentrate in distretto lombardo tra Crema, Bergamo, Milano e la Brianza – per oltre 4,4 miliardi di euro di fatturato, 20mila dipendenti e un tasso di investimento in ricerca e sviluppo doppio rispetto alla media del settore manifatturiero italiano (7% contro 3%), come emerge da uno studio condotto da The European House-Ambrosetti per il Polo tecnologico della cosmesi di Crema, associazione formata da azienda lombarde che rappresentano l'intera filiera “a monte” del mercato cosmetico: dal “sfuso” (prodotto) al riempimento, dal confezionamento primario al confezionamento secondario, dalle decorazioni a tutte le etichette, dal confezionamento a tutte le macchine automatizzate, dal design dei prodotti alla ricerca e sviluppo.

A fare la parte del leone nella filiera sono conto terzi formulatori: circa 300 aziende con oltre 2,4 miliardi di fatturato e 11.860 dipendenti. Dalla Lombardia, oltre 70% di fatturato arriva con una quota export di 42%. Il tasso di creccia degli occupati è del 6.5% contro lo 0.8% dell'industria manifatturiera. Il settore ha mostrato grande vitalità imprenditoriale: il 38% delle realtà ha infatti meno di dieci anni e si comporta meglio della media del settore con minor indebitamento e maggiore redditività.

Sono invece un centinaio le aziende impegnate nella produzione di imballaggi primari - bottiglie, vasi, flaconi, tubi - con oltre 1,7 miliardi di fatturato, una quota export di 54% e 7.370 dipendenti, con un incremento di 8,9%.

Nel nord Italia (oltre il 70% in Lombardia) si sono concentrati i costruttori di macchine che nel 2017 hanno generato ricavi per circa 334 milioni con una quota export di 72% contro la media del settore meccanico e macchinari di 51.6%. Sono 1.400 i dipendenti con un tasso di crescita tre volte superiore al settore di riferimento e sette volte l'intera industria manifatturiera, generando un valore aggiunto di 109 milioni. Anche la produttività (ovvero il valore aggiunto per addetto) risulta in aumento e oltre la media: 84,16 contro 72,03. Le aziende specializzate sono circa 60, per lo più micro, piccole e medie – la 68% fattura tra uno e dieci milioni – e giovani – la 35% ha meno di vent'anni.

"Lo studio - commenta Matteo Moretti, presidente del Polo della cosmesi – ha evidenziato il valore dell'industria cosmetica. Dati che per la loro importanza hanno positivamente sorpreso gli stessi addetti ai lavori. Ecco, la nostra forza sta proprio qui, nella filiera industriale della cosmesi: specializzazione di conoscenze e competenze, concentrazione territoriale e relazioni orizzontali e verticali tra le imprese e con le istituzioni - in particolare nel territorio lombardo (Cremona, Lodi, Bergamo e Monza- Brianza)".

E aggiunge: «Se proprio vogliamo identificare un punto debole, lo possiamo ritrovare nel mancato, almeno per ora, riconoscimento formale di un grappolo di cui, come si vede, abbiamo già alcuni elementi tipici. Il riconoscimento formale, come evidenziato nello studio di cui si diceva, potrebbe dare impulso ad un percorso di crescita dimensionale, delle singole aziende e dell'intero cluster, mantenendo l'alto valore internazionale e il forte contributo a tutte le esportazioni, ottenuto sopra tutto grazie alla capacità di innovazione basata sulla R&S, proseguire la transizione verso l'industria 4.0, rinforzare le compensae e la professionalizzazione degli occupati, anche con la creazione di una scuola di formazione ad hoc, aumentare l'attrazione di investimenti dall'estero ".

Eccellenze made in Italy, come Intercos di Agrate Brianza, in provincia di Monza e Brianza, il più grande in Italia per fatturato con 15 stabilimenti nel mondo, 780 milioni di euro di ricavi di budget 2018, un ebitda di 16% e una quota export del 90%. Milleottocento dei 6mila dipendenti sono impegnati in ricerca e sviluppo con una quota di investimenti in innovazione che per il make up arriva a 15% e nove centri di ricerca tra Europa, Asia e America.

Oppure Chromavis, il secondo terzo cosmetico italiano in provincia di Cremas – nato nel 2008 dalla fusione di due aziende familiari, Gamma Chroma e Clavis e oggi parte del gruppo francese Fareva – con 185 milioni di ricavi previsti per quest'anno e il obiettivo del raddoppio nel 2020 con l'inaugurazione, ad Offanengo in provincia di Cremona, della nuova sede futuristica, un vero e proprio hub dell'innovazione.

A cavallo tra marchi propri e conto terzi un altro big del beauty made in Italy, Alfaparf con 248 milioni di ricavi nel 2017 e un ebitda del 21.5% fondata nel 1980 a Osio Sotto, in provincia di Bergamo. Un gruppo integrato attivo nei canali professionali con la produzione di haircare, skincare, conto terzi e retail (tra i marchi di proprietà Alfaparf Milano, Dibi Milano, Becos, Olos e Ten Science) con 5 stabilimenti in Italia, Brasile, Messico, Venezuela e Argentina, oltre 1.300 dipendenti (meno di 400 in Italia) e una quota export di 80%.

La performance del settore è spesso superiore alla media del manifatturiero e di settori molto competitivi, come l'industria del vino, della moda e dei prodotti farmaceutici.

Da un'analisi di Intesa Sanpaolo emerge, infatti, che nel biennio 2016-17 la crescita media del fatturato è stata pari a 10%, uno dei trend migliori rispetto ad altri settori industriali, dopo farmaceutico (+10.8%) e pelletteria ( + 10.1%), e di fronte a comparti molto rappresentativi dell'industria italiana com il vino (+9%) e l'occhialeria (+7.8%). Su leveli di eccellenza anche i margini unitari e la produtivo. Nel 2017 l'ebit si è attestato ad un valore mediano di 8.8% assegnando alla bellezza il secondo posto in classifica dopo farmaceutici (9.6%) e davanti a occhiali (7.7%), pelletteria (5.4%) e vino (4.9%); mentre il valore aggiunto per addetto ha raggiunto i 59.700 euro, poi i 96.100 dei farmaci e i 71.500 del vino. Si è rafforzata anche la struttura patrimoniale: dal 2015 al 2017 il patrimonio netto è passato da 24.6% a 29.6%.

di M. Gervasio

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