FILIERA GRANO duro-pasta, un'eccellenza del made in Italy, simbolo del Belpaese nel mondo. Grande campione dell'export, l'Italia esporta più della metà della pasta che produce (il 56%) per un valore (dati 2017) di 2,4 miliardi di euro. Nella classifica dell'export la pasta si colcoca al sesto posto col 4,4% del valore complesivo (dati Nomisma) dopo vino, ortofrutta, conserve vegetali, salumi e formaggi Dop. Una filiera squilibrata: mentre siamo in deficit di grano duro (importiamo ogni anno tra 30-35% del fabbisogno), spaghetti e maccheroni contribuiscono al patrimonio del nostro equilibrio commerciale con il mercato estero. Il problema si risolverebbe producendo più grano duro e di maggiore qualità. Ma...
"La produzione nazionale di grano duro 2019 è caratterizzata da un volume di circa 4 milioni di tonnellate, in riduzione di 4% rispetto al 2018, e da alcune problematiche qualitative riguardanti il contenuto proteico e gli attacchi fungini", è l'analisi di Italmopa, Associazione Industriali Mugnai d 'Italia. “La contrazione della produzione nazionale - precisa Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa - si colloca in un contesto di riduzione generale della produzione comunitaria e globale che ha interessato tutti i principali Paesi produttori”. Dai mugnai ai pastai. L'Aidepi, l'associazione di categoria, ha accolto con favore l'indicazione dell'origine del grano in etichetta, commenta il presidente Riccardo Felicetti, “ora è il momento di concentrarsi su temi davvero rilevanti per il futuro del settore della pasta. La sola etichetta di origine non basta. Per aumentare la disponibilità di grano duro nazionale di qualità e sostenibilità, la strada giusta sono i contratti di filiera: in questo modo alla pasta viene garantito un grano adeguato e agli agricoltori un certo reddito”.
INFINE gli agricoltori. Afferma Confagricoltura: "Il volume delle cose di frumento durum in Italia si aggira sempre intorno ai 2 milioni di tonnellate all'anno: sono soltanto cambiati i di origine della materia prima. E' comunque indispensabile che il nostro Paese aumenti la capacità produttiva del grano duro per rispondere a tutte le richieste del settore, e serviamo anche sementi sempre più adatte a tutte le caratteristiche della nostra zona. E bisogna aumentare la capacità di stoccaggio con il ritiro separato dei diversi prodotti, per valorizzarne la qualità”. Sul fronte della semina Giovanni Toffano, responsabile commerciale della bolognese RV Venturoli, sottolinea: "E' assolutamente indispensabile che l'attivazione di qualsiasi progetto di filiera che interessi il grano duro si realizzi attraverso l'utilizzo di questo certificato.
IN CAMPO alimentare, e non solo, il consumatore presta sempre maggiore attenzione a specifici aspetti qualitativi del prodotto (caratteristiche nutrizionali, salubrità, ecc.)? in tal senso, l'impiego di seme certificato rappresenta un elemento di sicura garancia'. Infine, sulla questione del grano duro estero a rischio glifosato, Italmopa chiama i dati ufficiali forniti dalla Commissione Ue che evidenzano "che il 90.9% dei campioni testati non contiene residui di glifosato rilevabili e il 9.1% è ampiamente al di sotto del limiti di consenso. Pensare di resolver i problemi structurati della coltura italiana sollevando dubbi sulla salubrità del grano importato – peraltro indispensabile per motivi sia quantificati, sia qualitativi – è un atteggiamento sconsiderato e deplorevole e, soprato lesivo del diritto del consumatore ad essere correttomento informato”.