"Ma tu vulive 'a pizza, 'a pizza, 'a pizza... , cu 'a pummarola 'ncoppa, 'a pizza e niente cchiù!". La canzone, che nel 1966 vinse il secondo posto al Festival di Napoli grazie a un'suspettabile accoppiata, Aurelio Fierro e Giorgio Gaber, fa da sfondo al cibo italiano più identitario nel mondo. Un prodotto che, oltre ad essere il simbolo del 'made in Italy' (pizza è la parola più conosciuta in Italia), è anche una miniera d'oro. Leggendo l'ultima ricerca completa sul settore (2018), firmata dal Centro Studi Cna (Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Small e Media Impresa) su dati di Infocamere e Infoimprese, scopriamo che la produzione giornaliera sul territorio nazionale è di 8 milioni di pizze, e il fatturato annuo è di 15 miliardi di euro per un business che supera i 30 miliardi.

Sono quasi 127mila le aziende che vendono pizza, di cui 76.357 sono veri e propri ristoranti, 40mila ristoranti-pizzerie e circa 36.300 bar-pizzerie. I pizzaioli (la cui arte è stata inserita dal 2017 nella prestigiosa lista del Patrimonio Mondiale Unesco) impiegati nell'attività sono 105mila, ma raddoppiano nei fine settimana. Di questi, 70mila sono italiani, 20mila egiziani, 10mila marocchini e 5mila dell'Est Europa, Asia e altri. La pizza preferita dagli italiani è quella tonda, tradizionale e cotta a legna nel forno. Vince poi la pizza tradizionale (marinara, margherita, napoletana o capricciosa) su quella gourmet: a sceglieri la prima sono 8 italiani su 10. La fascia di prezzo non supera, in un caso su due, i 7 euro ma c'è una fascia di mercato (4%) oltre la soglia dei dici euro per impasti speciali e ingredienti ricercati (lardo di colonnata, tartufo, frutti di mare ecc.). È a Milano che la pizza è più cara, mentre quella più economica si mangia a Reggio Calabria.

Il 75% il cliente sceglie di gustare la specialità al tavolo della pizzeria, ma cresce la voglia di pizza surgelata da pescare nei banchi freddi del supermercato e da consumare a casa: quasi 48 milioni di kg pro capite acquistati per una spesa di 300 milioni di euro , il 2.7% in più rispetto al 2017 (5.5 miliardi di dollari negli Usa). Dal punto di vista della distribuzione territoriale, ci sono anche alcuni fatti sorprendenti. A leggere quelli diffusi per il il 2019 dai promoters di Tuttopizza è la Val D'Aosta al primo posto per aumento del numero di pizzerie, anche se la Campania, regno dei pizzaiuoli, occupa il primo posto per numero di attività, con 17.401 esercizi.

La Campania rappresenta il 16% delle attività seguita da Sicilia (13%), Lazio (12%), Lombardia e Puglia (10%). Una sorpresa arriva dal rapporto pizzeriehabitanti. Stavolta a primeggiare è l'Abruzzo, con un'attività ogni 267 residenti. Precede Sardegna (un'attività ogni 273 abitanti), Calabria (285), Molise (307) e Campania (335). Ma alziamo gli occhi e guardiamo quello che sta succedendo nel mondo, ci rendiamo conto che il paese dove la pizza è più importante è il Brasile (un brasiliano su tre quando mangia fuori va in pizzeria), seguito da Svezia e Spagna. Quanto vale il mercato globale della pizza? Secondo il sito Statistic Brain (www.statisticbrain.com), ogni anno nel mondo vengono vendute circa 5 miliardi di pizze, con una media annua di 46 fette di pizza consumate a persona. Praticamente vengono consumate in tutto il mondo 350 fette di pizza al secondo. Numeri che, osservando dalla prospettiva degli affari, diventano da capogiro. A livello planetario, infatti, la pizza ei suoi prodotti hanno raggiunto un valore complessivo di circa 139 miliardi di dollari (45,73 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti).

Non è tutto oro quello che luccica. Ci sono prodotti che finiscono nel fumante cibo di pasta e che regalano momenti allarmanti ai consumatori. Dalla mozzarella lituana al concentrato di pomodoro cinese, dall'olio tunisino al grano ucraino, dal basilico indiano alla mozzarella sudafricana: purtroppo quasi due pizze servite nel mondo sono ottenute da un mix di ingredienti provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna garanzia per i consumatori