La via piemontese di crescita per le multinazionali agroalimentari è fatta di acquisizioni. Il cambio di passo per Ferrero è arrivato tra il 2015 e il 2016, in parte annunciato dalle parole di Giovanni Ferrero in occasione di Expo Milano: «In passato la crescita era solo organica. Ogni generazione deve esplorare nuove frontieres ed eventualmente portarsi oltre le colonne di Ercole”. E così è stato per il colosso di Alba, nato come pasticceria negli anni '50 e '60 in provincia di Piemonte e diventato il terzo gruppo al mondo dopo Mars e Mondelez nel mondo del cioccolato.

La fase di crescita attraverso le acquisizioni del Gruppo Alba è stata in crescendo, con gli ultimi due scioperi – il ramo dolciario di Nestlé negli Stati Uniti e il settore biscotti e snack di Kellogg – che hanno segnato nell'ultimo anno e mezzo. Tanto che l'ultimo bilancio consolidato del Gruppo, che va dal mese di settembre al mese di agosto dell'anno successivo, non consente ancora di valutarne l'intero fatturato – arrivando a quota 10,7 miliardi – l'effetto di questa espansione, soprattutto sul mercato americano. Ci vorranno ancora qualche mese per consolidare la nuova attività e concentrarsi sulla struttura Ferrero adiacente nucleo più tradizionale, il cioccolato e gli snacks iconici, con le praline ei confetti Tic Tac, punta a far cresce e consolidare il comparto biscotti – arriveranno anche in Italia, dopo la France, i biscotti alla Nutella prodotti a Balvano – e ad ampliare la propria presenza sul mercato puntando su nuovi settori come il gelato a marchio Kinder – in collaborazione con Unilever – e le gomme da masticare.

L'altra azienda del settore Prodotti alimentari e bevande che ha sciaciato l'acceleratore sulle acquisizioni è la Lavazza, piemontese come Ferrero, gruppo che nell'arco degli ultimi cinque anni ha raggiunto i due miliardi di ricavi puntando su internazionalizzazione - a partire dall'acquisizione di Carte Noire nel 2016 per arrivare al " colpo ” del ramo drinks di Mars, qualche mese fa – e settori strategici per il caffè, come la “niche” dei biologici e dell'equo e solidale, grazie all'acquisition di Kicking Horse Coffee e della francese Esp nel 2017, e la rete capillare dell'Ocs e della distribuzione automatica.

La questione delle dimensioni è una variabile fondamentale nel processo di consolidamento dei mercati internazionali, a cominciare dagli Stati Uniti. Le ultime due operazioni di Ferrero e l'acquisizione del ramo caffè di Mars da parte di Lavazza, a fine 2018, vanno proprio in questa direzione. Per Ferrero la campagna dell'acquis americano significa prima di tutto raggiungere una massa critica allo scaffale, nella grande distribuzione, e utilizzare questa forza per penetrare il mercato attraverso i prodotti nucleo. Basti pensare che in due anni il valore stimato del mercato statunitense per Ferrero, grazie alle acquisizioni, è balzato a tre miliardi di euro, e gli Stati del quinto mercato sono diventati sostanzialmente i primi.

Per Lavazza, che vede nel mercato italiano il 36% dei propri ricavi, la campagna di acquisizioni punta ad aumentare la quota di mercato e la presenza internazionale del gruppo italiano, con un occhio attento alla filiera del caffè e un altrettanto primario focus sulla rete distributiva. Non solo lo “scaffale”, dunque, ma i settori dell'Ocs (macchine da caffè per ufficio e casa) e della distribuzione automatica (distributori automatici).

E se le big del made in Italy hanno imboccato la strada giusta, delle acquisizioni per consolidare e aumentare la crescita, la questione si pone con altrettanta centralità anche per le smalle e medie azienda Italiane, un patrimonio che rappresentante, secondo un'indagine di Deloitte, oltre il 70% del tessuto produttivo nel food e beverage. “La sfida per le aziende italiane è fare tesoro dell'esperienza dei gruppi più strutturati e puntare con decisione a tutte le aggregazioni per affrontare l'evoluzione del mercato e le abitudini dei consumatori” sottolinea Eugenio Puddu, Vice Capo Settore Prodotti di Consumo Deloitte. Per la stragrande maggioranza dei player del Made in Italy la crescita è organica, trainata dall'innovazione di prodotto – la linea “sana” accanto al recupero della tradizione – che si esprime, sottolineano gli esperti Deloitte, sul mercato interno ma è difficile emergere sui mercati internazionali, proprio perché le azienda sono troppo piccole. Solo aumentando le dimensioni del business, dunque, può favorire l'espansione sul mercato, nella GDO, e contemporaneamente aumentare la capacità di intercettare le nuove abitudini dei consumatori, ad esempio quelli con più alta capacità economica, disposti a pagare un po' di più pur di avere i prodotti a domicilio

 

di Filomena Greco

 

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