Internazionalizzazione delle imprese, opportunità o scelta obbligata? “Siamo partiti da questa domanda per declinare la risposta su più piani, da quello privato a quello istituzionale, da quello legale a quello dei numeri M&A”, ha detto il direttore di Fortune Italia, Fabio Insenga, introducendo i lavori del Forum Internazionalizzazione, organizzato da Fortune Italia presso la Sala degli Atti parlamentari, nella Biblioteca del Senato ‘Giovanni Spadolini’.
L’analisi del fenomeno dell’internazionalizzazione, che ha riguardato sia la conquista di mercati esteri sia l’attrazione di capitali, è iniziata con l’intervento di Alessandro Decio, Ad e direttore generale di Sace. Decio è partito circoscrivendo il panorama geopolitico ed economico attuale, che fa capire al contempo pericoli e valore dell’export: “il dato preoccupante è che il commercio globale è sostanzialmente fermo nel 2019, sintomatico delle tensioni commerciali e dei dazi. Il dato positivo è che in questo contesto l’export italiano continua a crescere. La nostra stima a fine anno è quella che la crescita arrivi al 3,4%. I dazi incidono, e nonostante questo l’Italia resiste. Dal 2015 ad oggi l’Italia è quella che ha tenuto meglio le quote del mercato export, e con i numeri del 2019 ci posizioniamo ai vertici tra i grandi paesi industrializzati”.
Un dato su tutti fa capire quanto l’export sia fondamentale: “se andiamo a prendere il pil 2010 vediamo che siamo nella stessa situazione solo grazie alla crescita delle esportazioni, in un contesto di bilancio e demografico critico. Ovvio quindi che l’export debba essere il traino della crescita. Oggi corrisponde al 32% del Pil”. Ma “quello tedesco continua ad avere un contributo superiore, al 42% del Pil. Quindi da fare c’è”, tenendo comunque in considerazione che “il target del 40% è complesso”, e “i modelli di crescita basati su export sono vulnerabili”, quindi l’export non può essere lasciato da solo. “La crescita europea deve ripartire anche nel mercato domestico con investimenti infrastrutturali e sulle imprese”. In sostanza “crescere sull’export è sì un’opportunità, ma è soprattutto un obbligo”, e “Sace Simest, che ha mobilitato risorse per 72 miliardi di euro negli ultimi tre anni, sarà ancor di più al fianco delle aziende”.
Quando si parla di internazionalizzazione, sono preziosi anche i dati sulle M&A: “i trend dell’M&A globale dell’ultimo anno mostrano un deciso incremento del valore delle operazioni nonostante il declino in termini di volume”, ha raccontato Luisa Quarta, Marketing director di Bureau Van Dijk – A Moody’s Analitycs Company. “L’America e la Cina rimangono i Paesi più interessanti per gli investimenti mentre il valore delle operazioni di M&A con target società italiane è diminuito per il terzo anno consecutivo facendo registrare un valore complessivo di 46.675 milioni di euro, nonostante l’incremento in termine di volume. Decisamente positivi invece i numeri dell’outbound delle società italiane che con soli 147 deal hanno registrato un valore totale di circa 14.000 milioni di euro; il valore più altro dal 2009 ad oggi”.
Dai numeri alle regole per sostenerli: nei processi di internazionalizzazione è naturalmente rilevante il contributo della politica commerciale internazionale, affidata al Mise e Loredana Gulino, Direttore generale proprio per la politica commerciale internazionale del ministero. Il principale obiettivo di questo insieme di misure (mirate a disciplinare gli scambi di merci, servizi e investimenti con Paesi terzi) è la costante liberalizzazione degli scambi, “in modo da facilitare l’accesso delle nostre esportazioni ai mercati internazionali”. Un prodotto, quello italiano, “molto amato nel mondo”, ma che va comunque preservato. “I nostri paesi hanno bisogno di certezza giuridica, per avere una concorrenza leale”. Per questo “gli accordi di libero scambio di nuova generazione si aprono alle piccole e medie imprese. Parliamo di indicazioni geografiche: per numero siamo il secondo Paese europeo dopo la Francia, le dobbiamo difendere”. Un esempio del ruolo strategico che la politica commerciale svolge, nell’era della globalizzazione, in ogni Paese che, “come il nostro, intenda crescere economicamente”.
Ercole de Vito, Head of business development di ICC Italy, ha spiegato come la Camera di Commercio internazionale cerchi di “diffondere della conoscenza delle regole che vanno rispettate durante il processo di internazionalizzazione. Un concetto fondamentale quando si va ad approcciare un mercato: specie le pmi tendono a non prepararsi, generando ritardi e costi extra”. Un discorso normativo che si intreccia con quello strategico: Germano Scarpa, Presidente Biofarma, racconta come “nella nostra storia” l’internazionalizzazione “è stata già all’inizio una scelta obbligata. Circa quindici anni fa ci siamo posti l’obiettivo di portare il fatturato il 60% all’estero. Il prodotto che ci commissionarono dagli Stati Uniti diventò, ed è ancora oggi, il primo prodotto americano per i fermenti lattici. Capimmo che il cliente avrebbe potuto cercare partner americani per semplificare le procedure: concordammo quindi che saremmo arrivati in America, portando lì la produzione”.
Parole confermate da Riccardo Ubaldini, Partner e Membro del focus team aziende di famiglia di BonelliErede. “Per noi internazionalizzare significa cedere sovranità: la presenza fisica nei Paesi esteri fa tutta la differenza del mondo, soprattutto dal punto di vista fiscale. Il processo vero passa da strutture all’estero”. Un tema, quello fiscale, ripreso nel focus sull’area Subsahariana “come opportunità per gli investimenti”, a cura di Michele Saponaro, membro dell’Africa team di BonelliErede.
Per Enrico Zampedri, Ceo di Metra, azienda dell’alluminio che nell’export trova l’80% del fatturato annuo, “essendo un prodotto di nicchia le filiali commerciali di Metra proponevano già il prodotto all’estero negli anni ’60. Da lì lo sviluppo che è stato dato è stato quello della partecipazione a progetti iconici come il prototipo della Piramide del Louvre, per farlo è stata ampliata l’operatività all’estero. L’essere presenti all’estero e una forte tendenza all’export sono fondamentali per garantire i fattori del successo, unendoli alla competenza tecnica tutta italiana proveniente dalla zona di Brescia-Bergamo da cui nasciamo. Abbiamo affrontato con un’azienda di consulenza un piano strategico che stiamo per approvare e che amplierà la nostra presenza negli Stati Uniti, l’analisi che abbiamo fatto ci dice che sono il mercato più interessante”.
A concludere l’evento l’intervento di Massimo Riggio, Chief marketing group officer dell’azienda di domotica (dalla forte dimensione internazionale) Nice, secondo il quale è l’innovazione “la leva del successo internazionale”, e l’internazionalizzazione è, sì, “un’opportunità, ma è anche una necessità”. Per far fronte alle sfide dell’internazionalizzazione, acquisizioni e integrazione di competenze esterne sono importanti, ma per farlo, soprattutto in tanti Paesi, “si ha di fronte una grande sfida organizzativa”. “Noi facciamo il 93% del fatturato all’estero”, aggiunge, più di 2300 persone di 30 nazionalità in 46 società con cui si lavora “mantenendo 5 valori fondamentali: identità del marchio, valori, processi, prodotti e soluzioni, stili di vita del cliente finale”.
FONTE: https://www.fortuneita.com/2019/10/24/internazionalizzazione-la-scelta-obbligata-delle-imprese/